Isola di Arturo

Elsa Morante

Procida. L'isola dell'infanzia felice di Arturo

L'isola di Arturo di Elsa Morante. Un romanzo di formazione novecentesco

Premio Strega nel 1987, L'Isola di Arturo racconta la storia di un fanciullo e della sua crescita sull'isola di Procida al largo della costa partenopea.
Dicono che sia un'isola felice, ti svelo il suo segreto!

Procida appartiene alle cosiddette isole Flegree, un gruppo di quattro unità strettamente legate all'attività vulcanica. È un'isola fatta di case colorate addossate l'una all'altra, vicoli stretti e in salita, colline ricoperte di ginestre in primavera. È circondata da un mare turchese e blu intenso e il suo porto è senz'altro il fulcro dell'intera isola, punto di arrivi e di partenze.

Sul lato di ponente che guarda il mare sorge la casa di Arturo, il famigerato castello dei Gerace. Per l'Arturo narrante essa è divenuta «un luogo isolato, intorno a cui la solitudine fa uno spazio enorme. Essa è là, malefica e meravigliosa, come un ragno d'oro che ha tessuto la sua tela iridescente sopra tutta l'isola».

Arturo, forse adulto, narra le sue memorie di fanciullo, trasfigurate dal tempo e dalle verità che si raccontava da bambino. Ricorda la sua casa come quella di una fiaba e la sua isola come il luogo dei momenti felici trascorsi col padre e della protezione materna, nonostante essa sia morta dandolo alla luce.

Non a caso si avverte subito il lettore che il racconto è assolutamente immaginario: «non si riporta né a luoghi, né a fatti, né a persone reali». Procida, dunque, è solo uno sfondo su cui collocare le memorie di infanzia di Arturo. Potrebbe essere Procida o qualunque altra isola, poco importa: qui lo spazio funge da metafora del percorso di crescita del bambino che Arturo è stato.

Procida. L'isola dell'infanzia felice

La dedica a Remo N. (forse Remo Natales, anagramma di Elsa Morante) presenta Procida come un piccolo punto della terra che per Arturo è tutto, un tesoro da custodire affinché niente e nessuno possa mai violarlo.

È la sua isola dell'infanzia felice, trascorsa a leggere le storie di "eccellenti condottieri", a progettare i suoi viaggi futuri e a fare il bagno in mare col padre nei ritorni dalle sue misteriose assenze.

Ho parlato di infanzia. Ebbene sì, Arturo all'inizio del romanzo è poco più che un bambino e non ancora un adolescente: ha 14 anni. Come per tutti i bambini, il suo mondo è limpido, privo di dubbi o incertezze.

La sua certezza è il padre: nonostante i suoi periodi di lontananza da casa, senza offrire spiegazioni, Arturo è sempre certo di un suo ritorno. L'incertezza subentra quando il suo mondo tutto maschile viene "contaminato" da una donna: l'arrivo della napoletana Nunziata a Procida sconvolge gli equilibri della sua "isola", che a questo punto possiamo sostituire con "infanzia".

Da questo momento in avanti Arturo comincia a conoscere il torbido, l'incerto, la rabbia, la gelosia e la delusione. Sono sentimenti nuovi per lui a cui non sa dare un nome, e Procida - cioè la sua infanzia - non deve esserne macchiata. Comprende allora che l'unica soluzione è allontanarsi dalla sua isola dell'infanzia.

L'allontanamento da Procida. Verso l'adolescenza

Arturo, ormai sedicenne, è pronto per lasciare Procida. S'imbarca all'alba col balio Silvestro, che nel frattempo è tornato per il suo compleanno, al quale dichiara: «non mi va di vedere Procida mentre s'allontana, e si confonde, diventa come una cosa grigia... Preferisco fingere che non sia esistita. Perciò, fino al momento che non se ne vede più niente, sarà meglio ch'io non guardi là».

Secondo alcuni critici, tra cui De Benedetti, questo finale è avvilente per il protagonista. Eppure in esso si può intravedere un meccanismo tipico del romanzo di formazione novecentesco: il condurre il personaggio sulla soglia dell'adolescenza, senza parlarne

La Morante, infatti, interrompe la narrazione quando ormai «l'isola non si vedeva più», ovvero sia quando l'infanzia di Arturo è terminata e sta per fare il suo ingresso nell'adolescenza. Se è vero che «fuori del limbo non v'è eliso», l'autrice decide di non parlarne. Il post infanzia deve rimanere ignoto per non contaminare le memorie dell'infanzia.

Non ci è dunque dato conoscere la sorte di Arturo fuori da Procida, se vi è mai tornato e che uomo è diventato. Quando giungeremo sull'isola, però, ricordiamo il bambino felice che Arturo è stato e recuperiamo il nostro. 

Del resto Procida è l'isola dell'infanzia non solo per Arturo, ma per tutti noi.

Chiara Pompeo

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